Cos’è la filiera etica e quali sono i prodotti realizzati

Ultimo aggiornamento: 26.07.24

 

Lo sfruttamento dei più deboli è ancora in corso in tutto il mondo e persino nel nostro Paese. Le filiere etiche cercando di opporsi a questo sistema, vediamo dunque insieme di cosa si tratta. 

 

Si dice che il lavoro nobiliti l’uomo e in molti casi ciò può essere ritenuto veritiero, ma cosa pensare quando il lavoro non è altro che un’imposizione e un sopruso, sottopagato e con una propensione allo sfruttamento? Viene quasi da sorridere a pensare a una parola del genere nel ventunesimo secolo, eppure in tutto il mondo sono ancora molti gli esseri umani sfruttati e a cui non viene riconosciuto nessun tipo di diritto. Se pensate che ciò avvenga solo in luoghi lontani, magari esotici, potreste restare sorpresi nello scoprire che nel nostro civilissimo Paese, il fenomeno del caporalato è in realtà vivo e vegeto.

 

Chi sono i “caporali”

Con il termine caporalato si intende un sistema di reclutamento di manodopera illegale messo in atto dai cosiddetti “caporali”, che assumono personale alla giornata eludendo quindi tutti i sistemi di controllo statali. Non si tratta solo di frodare lo Stato senza pagare le debite tasse ma in questo modo vengono calpestati tutti i diritti fondamentali dei lavoratori che si ritrovano a dover svolgere attività – spesso faticose – per una paga irrisoria e senza alcun tipo di tutela da parte del datore di lavoro.

 

Spesso il caporalato è stato associato alla criminalità organizzata ma non è sempre questo il caso poiché si rivela un malcostume diffuso anche tra rispettabilissimi – almeno all’apparenza – cittadini, che necessitano di manodopera a basso costo per raccogliere frutta e verdura o svolgere altre attività.

Si potrebbe pensare che sia un problema tipico dell’Italia del Sud, quella prevalentemente agricola e, sebbene siano molti i territori che soffrono del fenomeno, come Puglia e Calabria, in realtà tali pratiche sono molto diffuse anche in luoghi come la Toscana, l’Emilia-Romagna, il Piemonte e la Lombardia.

Il caporalato fu portato a galla e all’attenzione dei media nazionali negli anni ’80 del secolo scorso ma ha radici molto antiche e pertanto estremamente difficile da debellare, soprattutto nei territori in cui i controlli sono carenti. Con l’intensificarsi dei movimenti migratori e di masse alla ricerca di una vita migliore a cui abbiamo assistito negli ultimi decenni è stato molto più semplice per gli sfruttatori acquisire personale del genere, divenendo una piaga sociale. Ciononostante, stanno sorgendo associazioni decise a mettere la parola fine a questo sfruttamento tollerato per troppo tempo.

 

Filiera etica

In Italia è nata recentemente la prima filiera etica contro il caporalato grazie a Megamark di Trani, una catena di supermercati e l’associazione internazionale NO CAP, fondata da un ingegnere del Camerun, che si occupa proprio di far rispettare non solo i lavoratori ma anche l’ambiente.

Le filiere etiche sono divenute molto importanti per prevenire lo sfruttamento dei territori e delle persone, attive già da tempo in territori africani e del Sud America con prodotti come cioccolato, caffè e molti altri. Per riconoscerli è sufficiente cercare sulla confezione il bollino dell’associazione relativa, in questo modo il consumatore può immediatamente identificarli e decidere, magari, di acquistarli per sostenere la causa.

Lo stesso accade con i prodotti venduti nei Megamark, inizialmente in Basilicata, Puglia e Sicilia, tutti con il bollino NO CAP, acquistati dall’associazione e realizzati da centinaia di agricoltori extracomunitari provenienti da paesi come Ghana, Burkina Faso, Costa d’Avorio, Senegal e Mali, solitamente la fascia demografica più sfruttata dai caporali.

L’associazione garantisce loro un alloggio, paghe eque, un vero e proprio contratto di lavoro, un’assistenza sanitaria e orari che rispettino la dignità dell’essere umano. Non c’è nemmeno da aggiungere che sono anche tutelati sul luogo di lavoro con dispositivi di sicurezza individuale, quindi ottime scarpe antinfortunistiche, guanti da lavoro, mascherine e così via. Scegliere di acquistare tali prodotti, dunque, non è solo eticamente corretto, ma permette di combattere attivamente, utilizzando esclusivamente il portafogli, la criminalità e il malcostume.

 

Quali sono i prodotti NO CAP

Trattandosi del frutto della terra, i principali prodotti venduti con il bollino NO CAP sono proprio conserve, passate di pomodoro e verdura fresca. A Foggia, per esempio, si raccolgono i pomodori con cui vengono poi realizzati pelati e passate mentre in Basilicata peperoni, uva, insalata, carciofi e finocchi. Infine, a Ragusa, si trovano diverse tipologie di pomodoro come i ciliegino o i pomodorini gialli. Oltre al bollino, potete riconoscere tutti i prodotti NO CAP dalla dicitura “IAMME”, brand realizzato in collaborazione con Megamark, a breve disponibile anche in altri supermercati come Dok, Famila, A&O.

 

Impegno sociale

Per chi volesse approfondire l’argomento e capire le condizioni a cui migliaia di lavoratori sono ancora oggi sottoposti, è possibile informarsi con documentari come per esempio quello realizzato con il patrocinio di Amnesty International, “Il sangue verde” diretto da Andrea Segre. Il documentario in questione parla degli scontri avvenuti tra immigrati e la popolazione di Rosarno, a Reggio Calabria, avvenuti nel gennaio 2010 e che vedevano protagonisti centinaia di braccianti irregolari in protesta contro trattamenti disumani e spesso feriti a colpi di fucile ad aria compressa.

Altro documentario che parla dell’impegno sociale e della vita del politico Pietro Alò è “La follia degli onesti”. Alò si batté contro il caporalato in Puglia già a partire dagli anni ’70, contribuendo a far emergere il problema portandolo sotto gli occhi di tutti con proteste di piazza.

Degno di nota, infine, è anche “Riso amaro”, film del 1949 di Giuseppe De Santis che presenta il caporalato ai danni di italiani stessi, in un periodo storico in cui l’immigrazione non era ancora un fenomeno così diffuso nel nostro Paese.

 

 

 

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1 COMENTARIOS

Giovanna

February 4, 2022 at 6:53 pm

È bello ed importante che le aziende si impegnino attivamente per costruire una società più giusta, bisogna però che abbiano più visibilitá….

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